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Essere architetto oggi

Intervista agli Architetti di oggi: 8 studi a confronto, 14 domande, un grande sogno

8 studi a confronto sui temi caldi dell’architettura di oggi. Ogni studio ha risposto liberamente alle domande senza ovviamente sapere le risposte dei colleghi e (come leggerete) non sempre sono in sintonia… fare l’architetto oggi è un duro lavoro!

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[item title=”Sito, storia, luogo, funzione e contestualizzazione hanno ancora un valore? O vengono visti come un limite alla creatività progettuale?”]ARBAU

È evidente che continuano ad avere un valore, come del resto, anche se in modi diversi, hanno sempre avuto. Sono gli ingredienti base del progetto, sulla base dei quali esso prende forma, assieme agli altri materiali. Quello che non ha più valore è il “contestualismo” basato sull’analisi urbana, sugli allineamenti e le regole, spesso procedure molto sterili. La reinvenzione del luogo, invece, attraverso l’individuazione delle risorse e delle criticità che lo contraddistinguono, sono per noi il “movente” del progetto e ne diventano i materiali. E questo, lungi dall’essere un limite, stuzzica la creatività. Le risorse dei paesaggi in trasformazione sono tracce a piccola o a grandissima scala, materiali invecchiati, segnati dal tempo e visti con occhi nuovi, memorie, visuali impreviste, spazi fruibili in modo inaspettato, luci ed ombre, che il progetto sottolinea con forza. Il contesto è per noi un paesaggio mutevole che deve essere valorizzato dagli oggetti che il progetto di trasformazione “aggiunge”.

B+B

La capacità di lettura e analisi del luogo in senso lato è fondante per l’attività dell’architetto, non sono un limite anzi servono a sprigionare le intuizioni e l’immaginazione.

bOa

Sito, paesaggio, storia, luogo sono sinonimi di cultura, riteniamo che non si possa progettare senza un atteggiamento rivolto al rispetto degli aspetti culturali di un luogo. Ci sono le eccezioni dovute al fatto che alcuni luoghi nel tempo hanno subito un degrado, quasi sempre all’inizio un degrado culturale che si è trasformato in degrado ambientale. Intervenire in questi ambiti significa prima di tutto cercare di interpretare, se non ricostruire, l’identità culturale di quel particolare luogo. Se ancora tutto ciò non è possibile, allora esiste una forma di astrazione, di distanza critica che dialoga idealmente con qualcosa che non esiste più. L’architettura è capace di avere un ruolo positivo sia in un caso che nell’altro, ma anche di perdersi sempre più spesso in esercizi di stile.

DEMOGO

Hanno un valore, ed è evidente non possano essere definiti dei limiti alla creatività, ed è altrettanto vero che ‘creatività’ è una parola molto consumata, logora, abusata ovunque si tenti di definire il processo che sottende il progetto.

EAST

La contestualizzazione del progetto è indispensabile e deve essere l’incipit progettuale: sito , storia , luogo e funzione devono essere gli ingredienti fondanti dell’idea- progetto.
La de-contestualizzazione ha un valore e può esistere solo come risposta estrema di negazione voluta di uno (o tutti) dei quattro cardini progettuali sopra citati.

ETB

Il vero limite di qualunque atto creativo, non solo del fare architettura, è il non avere dei limiti. Quello che rende poetico il nostro agire nella società, quella sottile dinamica emozionale che scaturisce dall’osservare, toccare o semplicemente stare in un’architettura -una vera architettura intendo- è profondamente legato alla sua capacità di stabilire relazioni. “Ogni cosa canta l’eccellenza di ciò che le sta a lato” (Siracide). Le relazioni sono la base stessa del senso di bellezza estetica. Un’architettura senza relazioni vive con il luogo, la storia, la cultura, la memoria non può ambire a sopravvivere al tempo. Il nostro modo di pensare l’architettura è legato all’innesco di questo principio; riuscire a far “cantare” l’eccellenza del contesto. Ci interessa fare architettura con la tecnica dello sfumato leonardesco, immergendola nella delicata tonalità dei luoghi o nelle stratificazioni complesse delle città, senza autocompiacimento. Consideriamo un atto di grande sterilità intellettuale quello di pensare oggi all’architettura come strumento di rottura, di imposizione edonistica sulla realtà.

EXIT

I vincoli e limiti sono una risorsa e non una limitazione alla pratica progettuale. Storia, luogo e funzione sono concetti ormai compromessi e da ripensare. Anche il territorio è saturo di segni e non si possono applicare logiche di intervento di trent’anni fa.

PROAP

Nell’architettura del paesaggio è fondamentale capire i meccanismi di funzionamento del territorio per progettare con successo. Quindi il contesto è l’unico supporto dinamico su cui si realizza il progetto.[/item]

[item title=”Perché l’architettura di oggi risulta spesso inconcepibile?”]B+B

Perchè a volte gli edifici sono pensati per l‘autocelebrazione dell’architetto e non per soddisfare i sogni del committente sia esso pubblico o privato.

EAST

Perché , come detto prima, a volte si tende a sostituire la necessità di contestualizzare il progetto con la comodità di non doverlo fare ed è lì, in quel preciso momento, che non si crea più architettura ma scenografia architettonica.

ETB

I motivi sono tanti e complessi. Forse il più evidente è perché l’architettura contemporanea è in gran parte figlia illegittima di una spaccatura. Con la modernità si è realizzata nella cultura occidentale una frattura profonda tra la società reale e l’idea di società dalle élite culturali. L’architettura e l’urbanistica si sono fatte veicolo privilegiato di questa tensione verso il futuro possibile, la discontinuità, il tabula rasa. Se da un lato questo ha determinato l’avvento di una nuova dirompente visione del mondo, certamente libera da dogmi e carica di sogni, dall’altro ha allontanato l’architetto dalla società. Le dinamiche del fare architettura hanno lasciato progressivamente il loro territorio di confronto con il paesaggio, la città e la complessità della storia. Quando venne inaugurata la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, la sua forma assoluta si stagliava nel profilo medioevale di Firenze con una forza di rottura tremenda per l’epoca: scala, forma, linguaggio. Eppure questo straordinario “oggetto” era in grado di creare un senso di identità estetica pur nella sua rivoluzionarietà, togliendo il fiato tanto al calzolaio quanto al dotto banchiere.

Il pensiero di Brunelleschi, come quello di tutti i grandi maestri pre-moderni, adottava un codice estetico condiviso, frutto di sedimentazioni culturali lente. La nostra epoca ha perso tutto questo; la progressiva personalizzazione del linguaggio architettonico e l’irreversibile imborghesimento dell’architetto hanno alimentato una crescente autoreferenzialità creativa svuotando il progetto architettonico di senso fino a ridurlo a sterile brand, un prodotto vendibile.

Noi non crediamo che l’architettura possa essere un prodotto, e in particolare un “prodotto per pochi”. L’architettura ha sempre un’implicita vocazione sociale, che la universalizza e la rende comprensibile. Per questo riteniamo che la sfida dell’architettura contemporanea sia quella di rifondarsi attraverso una ricucitura lenta con il mondo reale e la società, lavorando sulla continuità con l’esistente, sul confronto sensibile con la società e le sue pulsioni, con la concretezza della storia e il corso del tempo. Su questa linea di pensiero ci siamo sempre impegnati con passione ad aprire la scatola nera dell’architetto, cercando di colmare questa distanza, semplificando i meccanismi di generazione dell’idea per renderli in qualche modo comunicabili.[/item]

[item title=”Restauro: com’è la situazione oggi? Sembra che si preferisca costruire ex novo piuttosto che concentrarsi sul riqualificare l’esistente, è vero?”]ARBAU

Non solo non è vero, ma è addirittura l’opposto, per lo meno in Europa, o come minimo in Italia. Il fatto è che è cambiata profondamente l’idea di esistente e più che di “restauro” conviene parlare di rigenerazione o riqualificazione. Il valore di ciò che esiste non è necessariamente “storico” o “artistico”, non necessariamente è quello segnalato dalla Sovrintendenza. L’esistente ha il valore del vissuto, del materiale logorato, crepato, segnato, cose che artificialmente non potremmo mai ottenere; e poi ha il valore dato dalla quantità. Infine verso l’esistente abbiamo un dovere morale, che non è tanto quello di conservarlo, quanto quello di conservare quel po’ di vuoto che resta, cosa che possiamo fare solo se utilizziamo tutto quel che già c’è.

B+B

Gli edifici di qualità vanno restaurati mentre ciò che non ha valore va demolito e ripensato con fermezza e senza nostalgia.

EAST

La minor realizzazione di restauri rispetto alle nuove costruzioni non dipende tanto dalla volontà quanto dalle contingenze economiche e dal fatto che il restauro è iper- vincolato da leggi e restrizioni che fanno pendere l’investimento verso il nuovo, meno impegnativo, rispetto al recupero dell’esistente. Ovviamente, ma qui si entra in un campo extra-tecnico, se esistessero politiche mirate a spostare l’appetibilità dell’investimento verso il recupero dell’esistente, la situazione potrebbe cambiare drasticamente.

EXIT

La riqualificazione è una sfida affascinante dove i migliori interventi riescono quando l’architetto riesce a fare un passo indietro, a non imporre la sua firma ma a mimetizzarsi senza però scomparire.[/item]

[item title=”Cosa pensate quando vedete in giro edifici abbandonati, vecchi o nuovi, zone verdi lasciate a se stesse o cantieri fermi? Pensiate ci possano essere dei rimedi da architetti?”]B+B

Abbiamo constatato che alcune aree centrali dismesse sono bloccate perché i soggetti interessati sono molti, così come i vincoli ed i diritti; tutto ciò genera delle situazioni di immobilismo che nessuno dei singoli attori ha l’interesse o la capacità di risolvere. L’architetto in questi casi, con una certa intraprendenza, può trovare delle soluzioni urbanistiche, progettuali ed economiche che favoriscano una soluzione di equilibrio in cui ogni soggetto interessato trae dei benefici a fronte di alcuni ragionevoli compromessi.

bOa

Prima di tutto dovrebbero esserci idee e rimedi “politici”, ci riferiamo a ciò che avviene nei paesi “normali” dove edifici dismessi, in attesa di futuri usi e progetti a lungo termine, vengono affittati temporaneamente a piccole imprese, studi professionali giovani, artisti che possono beneficiare di spazi che altrimenti non potrebbero permettersi, e in cambio mantengono in efficienza uno stabile destinato a gravare sul bilancio privato o pubblico. Gli architetti, e in generale la società pensante, possono stimolare la “politica” e il capitale privato, purtroppo da anni offuscati da mancanza di idee e poca voglia di rischiare sia sul piano economico che culturale.

DEMOGO

Pensiamo siano opportunità per mostrare ancora il ruolo della nostra disciplina. Il movimento moderno ha lasciato sul campo un’eredità pesante, città e architetture disgregate, un territorio culturalmente e fisicamente altamente compromesso. Questa crisi è un momento di grande ripensamento dello spazio, e dei programmi sulla città, è una responsabilità che sentiamo in maniera pressante, e crediamo sia anche una questione generazionale probabilmente.[/item]

[item title=”Commissioni pubbliche e private: chi vince oggi? Pregi e difetti”]ARBAU

In Italia, in questo momento, vince il privato. Il privato, anche spinto a cambiare dalla crisi economica che lo ha portato a rivedere alcuni stili di vita ed esigenze, ora è più informato e formula richieste più precise ma soprattutto si lascia guidare ed entusiasmare. E’ drammatica la distanza che si sta formando rispetto al committente pubblico, che si trova in grosse difficoltà, economiche in primis, perché non ha più a disposizione le risorse per realizzare progetti significativi. Ma pesano molto anche le carenze culturali e tecniche di chi gestisce il bene pubblico. Vi è una grande impreparazione e non conoscenza delle tematiche di sviluppo urbano legate all’architettura. Chi ci governa non ha formazione e tanto meno si avvale di consulenti specifici, come avviene in altri paesi, che li possano guidare in ambito edilizio ed urbanistico. Rimane il fatto che il pubblico dovrebbe essere il nostro grande committente, promotore del rinnovamento urbano e della qualità dell’architettura che non può essere affidata alla fortuna di trovare un committente privato illuminato.

B+B

Vince la commissione privata perché maggiormente motivata e con precisi obiettivi estetici- funzionali- tempistici-costi. La commissione pubblica ha ancora troppi legami politici ed accademici.

PROAP

Non credo ci sia una differenza significativa tra committenti pubblici e privati. Trovo ci sia piuttosto un problema generale di committenza, che spesso non sa fare quello che deve. Per esempio si fatica ad avere un programma certo, le varianti sono troppo frequenti, le decisioni hanno spesso un carattere provvisorio. In compenso chiunque si sente in diritto di dire la sua nel processo creativo.[/item]

[item title=”Purtroppo si sente spesso dire: ‘gli architetti di una volta erano più bravi‘. Cosa rispondete a questa critica? Cosa è cambiato da ieri a oggi nell’architetto?”]B+B

Non concordiamo con questa affermazione, molti architetti contemporanei sono molto bravi. La differenza sostanziale è che rispetto al passato la figura dell’architetto è più poliedrica, siamo chiamati ad occuparci anche dei problemi sociali, economici e relazionali che influiscono su ogni progetto.

DEMOGO

Riteniamo francamente un po’ stucchevole il refrain del ‘si stava meglio prima’, l’architettura del resto è figlia del proprio tempo.

EAST

E’ vero, oggi il ruolo dell’architetto rispetto a vent’anni fa è completamente cambiato a causa della iper-burocratizzazione del contesto tecnico in cui si opera: oggi per essere un buon architetto dovresti avere una seconda laurea in giurisprudenza.

ETB

Di sicuro la professione dell’architetto oggi non è la stessa dell’architetto del rinascimento o di quello di inizio novecento. Moltissimo è cambiato in termini di ruoli, di competenze, di processi produttivi dell’architettura. L’architetto oggi è una figura alquanto ambigua che si muove su territori eterogenei senza poterne controllare interamente la complessità. In questo sta il limite e il poetico del nostro lavoro. Dover essere ingegneri, artigiani, politici, sociologi, archeologi, comunicatori, senza esserlo. Questo impone una cerca flessibilità e dinamismo mentale. Credo che ci siano grandi architetti oggi come nei secoli precedenti, non ho le prove per dimostrare ilcontrario. Quello che manca – almeno in Italia – è la capacità politica e culturale di selezione e valorizzazione la qualità esistenti. Manca la comprensione del ruolo strategico dell’architetto – del buon architetto – nella costruzione della società civile.

La diseducazione generalizzata alla bellezza, la progressiva autodistruzione delle facoltà di architettura nazionali, abbandonate nelle mani di una classe docente inconsistente ha generato il desolante panorama professionale odierno. Se ci fermassimo qui sarebbe giustificata la nostalgia per il passato a cui lei allude. Ciononostante qualcosa sta cambiando nelle nuove generazioni di architetti. La possibilità di studiare e formarsi in paesi stranieri, confrontandosi con contesti di autentica eccellenza, ha imposto nell’ultimo decennio un cambio di ritmo sostanziale.

L’Europa è il grande motore di questa inversione di rotta. Tocca adesso alle istituzioni e alla politica italiana proteggere e valorizzare questo patrimonio, non disperdere questa occasione di sviluppo possibile attraverso il valore assoluto della bellezza.

EXIT

Non credo fossero più bravi: le eccellenze in tutti i mestieri sono sempre poche.

PROAP

È cambiato il mondo direi. Ci sono oggi molte più possibilità date dalle tecnologie, dai mezzi di comunicazione e dalla facilità di spostarsi. Ma é aumentata anche la normativa ed i soggetti che controllano il processo. Molto del lavoro di oggi consiste nella redazione piuttosto che nella creazione. Questo evidentemente a discapito della qualità architettonica, anche se le costruzioni di oggi hanno standard e prestazioni inarrivabili rispetto a quelle del passato.[/item]

[item title=”Avete tutti avuto esperienze di lavoro all’estero, com’è la situazione fuori dall’Italia? Dove c’è più spazio per la vostra professione?”]bOa

Negli anni ’90 abbiamo lavorato per un tempo limitato a Barcellona e ad Amsterdam, in un periodo di grande speranza e sviluppo per l’architettura europea, dove tutto sembrava possibile e che ha visto l’inizio della figura dell’ Archistar. Ora questa spinta in parte è esaurita, ad eccezione degli investimenti fatti dai grandi capitali della finanza in Svizzera e a Londra, dove ancora si costruisce a grandi ritmi, e negli Stati Arabi e in Russia.

Da 4 anni stiamo lavorando in Francia per la realizzazione di progetti dello studio Pawson, in cui il nostro ruolo è quello di project management, di coordinamento delle diverse progettazioni e di direzione lavori. Penso che la creatività e capacità dei professionisti italiani sia riconosciuta e quindi richiesta all’estero, soprattutto nella gestione di progetti dove la cura del dettaglio e la qualità sono gli elementi principali del progetto.

EXIT

Dieci anni fa in Spagna e Portogallo c’era molto lavoro e un dibattito architettonico molto ricco. Proprio in questi paesi ci siamo formati dopo la laurea. Ora probabilmente le migliori occasioni di lavoro si trovano in nord Europa.

PROAP

Sì lavoriamo all’estero ed i nostri soci sono portoghesi. La situazione non è idilliaca neanche all’estero, per vari motivi. È però meno faticoso il processo, noi abbiamo complicato tutto. La professione del paesaggista sta avendo spazi in Italia che all’estero sono già consolidati.

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[item title=”Con il termine architettura si pensa ad edifici costruiti, ma c’è anche l’aspetto della progettazione del verde, ad esempio i parchi, come siamo messi in Italia?”]EXIT

Ci sono studi molto validi. Forse manca una cultura rispetto alla progettazione dei vuoti.

PROAP

Ci occupiamo di architettura del paesaggio e quindi anche di parchi. La crisi ha toccato anche questo settore che ha subito un forte ridimensionamento nonostante sia un settore in crescita. Da più parti si dice che il disegno degli spazi aperti diverrà prevalente, assieme al riuso edilizio, a discapito delle nuove costruzioni. Condivido questa visione e la trovo realistica.[/item]

[item title=”L’architettura è teatro, l’architetto è un regista: poi vi è l’occasione, la fortuna, l’ora che passa” Aldo Rossi.
Si può forse collegare questa frase alla realtà dei concorsi? Sono un’occasione dove serve la fortuna ed il tempo è molto determinante? Se volete raccontarci il vostro rapporto con i concorsi…”]ARBAU

Il nostro rapporto con i concorsi è molto problematico, perché ci abbiamo creduto profondamente e siamo state profondamente frustrate. Diciamo solo che ne abbiamo fatti una quarantina, di cui oltre la metà premiati e di questi 7-8 con primi premi. Di tutto questo immane sforzo intellettuale siamo riuscite a portare a termine solo un progetto. Non crediamo che la fortuna c’entri poi così tanto, piuttosto in Italia se ne è fatto un uso discutibile.

Ogni tanto ci capita di riprendere in mano i progetti migliori e ci rattrista molto, non solo per quello che non è stato fatto, ma perché comunque sono state messe in campo energie, capitali, idee…e poi ci guardiamo attorno e quel che c’è è un mondo in cui l’architetttura è una parte infinitesima, il resto è pura edilizia sconfortante. È questo scollamento che non quadra.

B+B

Le parole di Aldo Rossi “l’occasione, la fortuna, l’ora che passa” fanno riflettere e sicuramente rispecchiano più la condizione attuale della nostra professione che un collegamento con i concorsi. Un’opportunità va sempre inseguita, il tempo scorre inesorabilmnete e ognuno di noi deve saper costruire le proprie occasioni. I concorsi sono delle opportunità, in questo periodo sicuramente non le migliori; dalla nostra esperienza abbiamo imparato che molte occasioni nascono e maturano quando riusciamo ad ascoltare e capire i sogni e le esigenze delle persone.

DEMOGO

Noi abbiamo investito e continuiamo ancora a investire molto sui concorsi, per diverse ragioni: siamo uno studio che incentra la propria attività su una dimensione ibrida tra professionismo e ricerca accademica, e il concorso rappresenta l’opportunità ideale per questo tipo di profilo, è un’opportunità per confrontarsi sul piano teorico connesso alla cultura del progetto e sul progetto in senso stretto. Tutto questo nonostante sia uno strumento ancora molto da perfezionare, soprattutto nel nostro paese.[/item]

[item title=”Adolf Loos creava uno spazio nella sua totalità, oggi anche in architettura ci sono le specializzazioni, secondo voi si integrano bene al fine di un buon progetto? Vi piacerebbe fare un progetto a 360°?”]B+B

Se pensiamo che quasi il 40% del costo totale di un edificio è dovuto agli impianti, è evidente che gli architetti devono progettarne l’integrazione; diversamente l’architettura subirà la loro presenza così come quella delle strutture.

bOa

Spesso all’architetto viene richiesto un ruolo di regia, pensiamo che in effetti il nostro mestiere si avvicina a quello del regista di un film, di coordinamento di diverse figure professionali, ed ogni anno se ne aggiunge una… Per cui l’architetto che intende realizzare un proprio edificio deve conoscere gli aspetti di tutte le altre figure professionali coinvolte, altrimenti non può tenere sotto controllo e prefigurare tutte le problematiche che potrebbero mettere in crisi la realizzazione del progetto stesso.

DEMOGO

Non esistono progetti parziali rispetto allo spazio, ogni scelta ha ripercussioni sulla totalità delle componenti in gioco.

ETB

Le specializzazioni e la capacità dell’architetto di introdurle in un tavolo di discussione vivace è fondamentale nel nostro lavoro. Nel nostro studio ci occupiamo di pochi progetti ai quali dedichiamo moltissimo tempo, dispiegando un approccio artigianale. Ci piace questa straordinaria esperienza che è pensare, progettare, realizzare l’architettura così come pensa, progetta e realizza un artigiano di bottega il proprio manufatto: con spirito di adeguatezza, di utilità e convenienza.

Ci attrae la poesia che scaturisce dal lavoro semplice, necessario e ben fatto. Nei nostri progetti disegniamo quasi tutto, mobili, tessuti, colori, cercando di costruire quel valore immateriale che è l’atmosfera di un architettura. Per farlo lavoriamo con pochi ma appassionati specialisti con i quali parliamo, disegniamo, impariamo. Ritenendoci dei semplici artigiani dediti alla costruzione della bellezza, ci interessa questo lavoro collettivo di approssimazione alla realtà.[/item]

[item title=”La progettazione urbana quanto è rilevante nelle città attuali? Si tende sempre ad aggiungere, non bisognerebbe pensare anche a togliere ogni tanto, lasciare spazi aperti?”]ARBAU

Diciamo che è fondamentale la progettazione urbana, quanto a togliere per noi è sicuramente uno degli obiettivi. Per noi la “sottrazione” è sicuramente uno strumento compositivo fondamentale. Il fatto è che per renderlo possibile, ancora una volta, bisogna mettere in atto processi politici ed economici tali da renderlo possibile. Su questo abbiamo qualche idea e ci stiamo lavorando. Bisogna comunque stare attenti a non confondere tutto questo con il progetto di piazzette e giardinetti, cioè di arredo urbano: ricamare gli spazi aperti per renderli più domestici non serve a niente, anzi è quasi come costruire.

bOa

Nella città italiana l’immaginario collettivo coincide con il centro storico, e le politiche delle amministrazioni risentono ancora di questa visione. Il progetto degli spazi aperti periferici è la scommessa che le città italiane devono perseguire; in parte lo hanno fatto negli ultimi 20 anni ma con esiti altalenanti, a causa delle carenze che gli architetti italiani hanno dimostrato in merito a questo tema. In realtà a livello numerico, l’individuo e la società continuano a vivere e a formarsi all’interno della periferia, un ambiente che tutt’ora è degradato, ha scarsi riferimenti culturali, non costruisce un paesaggio urbano di qualità. Sembra una banalità ma molte amministrazioni destinano i soldi per rifare le pavimentazioni delle piazze del centro storico, quando invece dovrebbero indagare altri temi.

DEMOGO

Probabilmente non è più questione di togliere o aggiungere, questa idea che non si debba più costruire è molto abusata ad ogni livello, c’è molta poca conoscenza della realtà dello spazio urbano, molta superficialità anche nell’esprimere giudizi. La questione centrale crediamo sia la qualità del progetto d’architettura, come esistono spazi costruiti inabitabili ne esistono altrettanto di vuoti, di non costruiti, con la medesima impossibilità di instaurare una relazione emozionale con le persone.

EAST

La progettazione urbana in italia non esiste , se non per alcuni casi isolati e puntuali , perché ora come allora l’urbanistica è un’estensione del potere e della volontà politica, tramite l’utilizzo del territorio (e delle relative cubature) come voto di scambio.

EXIT

Togliere è la parola chiave. Lavorare per sottrazione o con pochi gesti significativi è una risposta pratica ma soprattutto culturale in periodo economicamente difficile come questo.[/item]

[item title=”Temete di più la concorrenza degli studi di architettura italiani o stranieri?”]ARBAU

Di entrambi. Di quelli stranieri per via dell’esterofilia italiana, perché quando si presentano occasioni importanti in Italia spesso si scelgono a prescindere dalla qualità del progetto nomi stranieri. A noi è successo con il concorso internazionale di Piazza Barche a Venezia Mestre, dove, nonostante avessimo vinto, il comune ha poi affidato direttamente l’incarico ad un architetto spagnolo non particolarmente conosciuto, ma straniero. Questo episodio ha segnato la nostra carriera e ci fa paura.

Ma ci preoccupa il numero esorbitante di architetti italiani rispetto a quelli presenti negli altri paesi europei. Lo Studio del Cna sugli architetti dimostra che non può esserci lavoro per tutti questi professionisti, un errore enorme commesso dalle nostre università che negli ultimi dieci anni hanno prodotto grandi numeri spesso senza curare la qualità dell’insegnamento.

DEMOGO

Temiamo di più l’incapacità di giudicare un progetto d’architettura. C’è molta poca cultura del progetto nel nostro paese e una certa esterofilia dilagante, componenti che hanno spesso portato a scelte infelici per molti progetti centrali alla vita e al futuro delle città italiane.

ETB

Temere non è la parola corretta, possiamo dire che sentiamo un antagonismo più forte con studi provenienti da paesi come Svizzera, Spagna, Portogallo. L’antagonismo è però costruttivo perché genera un dialogo, anche se a distanza, uno scambio di prospettive leale e salutare. In Italia quello che realmente temiamo sono le situazioni di poca trasparenza nei concorsi. Ci sono ancora diffuse abitudini di complicità o ambiguità nell’organizzazione e nella gestione delle gare.

Questo malcostume pressoché capillare riguarda trasversalmente tutto il territorio nazionale e le tutte le generazioni, da quelle più consolidate nel mercato alle nuovissime; ne abbiamo in prima linea fatto esperienza e questo ferisce molto il nostro amore per l’Italia. Non mancano casi di trasparenza ma sono pochi. In questo, riconosciamo il vero dato “da temere” per noi e per chi come noi vuole praticare con tenacia e lealtà la professione in Italia.

EXIT

All’estero c’è sicuramente una concorrenza maggiore, dovuta probabilmente a una maggiore cultura architettonica in senso generale: mass-media in primis ma anche una sensibilità maggiore da parte delle persone nonché un’accettazione maggiore della contemporaneità.[/item]

[item title=”La richiesta più strana che vi è stata fatta?”]ARBAU

2003: voglio una casa prefabbricata in legno che si monti in una settimana dove vivere tutta la vita, come quelle americane. È diventata una nostra passione e specializzazione.

B+B

Spesso al primo incontro con un nuovo committente ci viene chiesto se possiamo preparare qualche schizzo, qualche idea per la prossima volta… Abbiamo constatato che molte persone pensano che l’architetto sia una specie di guro che vedendo un luogo ha delle visioni…

bOa

Un campo da bocce nel tetto/terrazza di un appartamento a 15 mt di altezza al di sopra di un supermercato cittadino. Già ci immaginavamo una errata bocciata che finiva nel reparto della frutta, dopo aver trapassato l’esigua copertura in lamiera…

EAST

Telefonata ricevuta a casa, sabato sera, da parte di un cliente: “ Architetto, el vegna qua che non vedo canale 5

EXIT

Infinite richieste strane e curiose.

PROAP

Progettare un cammellodromo nel Sahara libico…[/item]

[item title=”Fare l’architetto è come ve lo immaginavate quando avete intrapreso gli studi di architettura?”]B+B

Non immaginavamo tutta l’enorme burocrazia che soffoca i progetti!

bOa

Ricordo quando dovevamo scegliere la facoltà da intraprendere e parlammo con l’architetto Vittorio Rossi, il quale cercò in tutti i modi di farci desistere, elencando tutti i problemi innati nel mestiere, la scarsa cultura della committenza, la decadenza della classe politica che invece avrebbe potuto/dovuto interloquire in modo proficuo con il mondo dell’architettura. Ma nonostante tutto non riuscì a nascondere completamente una luce negli occhi, un misto tra passione, amore innato per tutto ciò che è bello nell’arte, nella materia, nella ideazione e nella realizzazione che fa della nostra professione una cosa unica, un’avventura irripetibile.
La scelta era fatta!

DEMOGO

Fare l’architetto è difficile e complesso, farlo in Italia lo è di più. Quando eravamo all’università (all’inizio del 2000), l’Europa viveva una stagione estremamente ottimistica, c’era molta fiducia intorno alle possibilità dell’architettura, questo inevitabilmente aveva contaminato anche noi e la nostra generazione in generale, poi c’è stato un brusco risveglio, un momento molto difficile che coincise anche con l’inizio della nostra carriera professionale.

EAST

No, nella maniera più assoluta, nel senso che il lavoro vero di architetto oggi è in percentuale non superiore al 10% , il resto è burocrazia, acqua morta e spese inutili.

ETB

Abbiamo concluso l’università tra Italia e Spagna, sviluppando la nostra tesi con Bernardo Secchi e Guillermo Vazquez Consuegra. Con quest’ultimo abbiamo subito iniziato a lavorare a Siviglia e quindi il passaggio dalla formazione alla professione è stato quasi immediato. L’approssimazione tra le nostre idee sull’architettura e la realtà della professione ha avuto un percorso molto privilegiato, dentro uno studio di quello che per noi è un maestro dell’architettura contemporanea.

Abbiamo imparato ad essere davvero architetti lì. Quello che ha sorpreso maggiormente le nostre aspettative di studenti è come si possa e debba svolgere questa professione in modo artigianale, da “maestro di bottega”, lavorando pazientemente di lima, dall’idea al dettaglio. Questo tempo lento del progetto, tenacemente difeso dai ritmi serrati della costruzione ci ha colpito profondamente e lasciato il segno.

Abbiamo imparato a conoscere quella che Guillermo chiama “el cuarto del arquitecto” (la stanza dell’architetto), un luogo tranquillo che va protetto dalle logiche del mercato e dell’economia, uno spazio di pensiero e di sogno, da cui osservare il mondo con distacco per poterlo trasformare con sensibilità.

EXIT

No, è molto peggio e molto meglio allo stesso tempo![/item]

[item title=”Avete anche voi lo Sketchbook nero da ‘veri’ architetti?”]B+B

Certo! Sketchbook nero, matitone, dolcevita nero e sciarpina al collo distinguono un architetto vero da tutto il resto dell’umanità!

ETB

Li produciamo noi stessi in studio e ne consumiamo due dozzine all’anno. Si tratta di sketchbook con copertina nera (di progetto) ma anche rossa (di cantiere). Usiamo carta bianca molto leggera per vincere la soggezione da moleskine. Ci piace molto disegnare, lo facciamo da sempre e ci permettiamo il lusso di farlo ancora con la stessa illusione di quando eravamo bambini. Usiamo solo bic nera.

EXIT

Sono ormai molti i sistemi per fissare idee e concetti.

PROAP

Si lo usiamo come logbook di lavoro dove registriamo scritti e disegni. È un valido supporto della memoria.[/item]
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Un GRAZIE a tutti gli studi di architettura che hanno collaborato! 

Se vuoi sapere di più su questi studi di architettura leggi l’articolo: Fare l’architetto è come ce lo immaginiamo? L’intervista e l’esperienza di 8 studi di architettura affermati

 

Giorgia Ceccato

Architetto per scelta e Blogger per caso. Si laurea in Architettura quinquennale presso l’Università di Firenze. Ha vissuto un anno a Madrid dove ha trovato un meraviglioso mondo di architetture e design. Spirito libero, fantasiosa e viaggiatrice. Da quando è andata a NY il suo libro di riferimento è ‘The Architecture of Happiness’ di Alain de Botton. Sempre 'alla ricerca delle architetture', come la definiscono gli amici. Ha una mascotte, il suo cane Milla, dalla quale non si separa (quasi) mai!

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